To try to answer at Lone I copied a portion of an article written by the president of the 'A.I.A.A.Regine, queens Italian Breeders Association (ligustica and sicula).To mee is difficult to translate, if somone can do it, otherwise I'll try to translate it.
“The Italian bee in Italy: pensare italiano per l’ape italiana”
Articolo pubblicato sulla rivista Francese Inforeines, scritto dal Presidente Milli Gabriele
....che cos’è la ligustica, o ape italiana. Di sicuro una delle sottospecie di interesse produttivo, e lo è al punto tale che spesso si accompagna con l’aggettivo americana, australiana, neozelandese, canadese, finlandese, ecc.; per non dire di quell’incredibile selezione per la produzione della pappa reale in Cina; e per non dire del fatto che comunque la maggior parte degli incroci hanno come base la ligustica; oppure del fatto che le parole più lusinghiere sulla ligustica sono state scritte da Brother Admas (incrocio buckfast) e da Ruttner (sottospecie carnica). Se si fanno analisi di razza, tutte queste ligustiche rientrano nei parametri; e questo dimostra che l’interesse produttivo per l’ape italiana è un dato di fatto che non accenna a diminuire; anzi, commercialmente parlando, si potrebbe forse quasi dire che c’è una notevole ripresa di interesse per le possibilità produttive di quest’ape.
Ma che cos’è la ligustica in Italia? Forse la risposta, se la troviamo, ci può aiutare a capire. Se in Italia si smette di selezionare l’ape italiana, (e qui non importa con quale procedura), se si lascia libera di trovare il suo equilibrio o la sua armonia senza l’intervento dell’uomo, dopo pochissimo tempo ci si presenta davanti agli occhi un panorama incredibile. Quella che oggi comunemente, in Italia e all’estero, è considerata per l’aspetto esteriore l’ape italiana, viene sostituita da una varietà morfologica, di colore e di forma, inimmaginabile. Per problemi di spazio non si può che procedere di gran fretta: si perde nelle regine un po’ del biondo “bolognese”, per il quale è conosciuta nel mondo, ma si arriva al suo estremo, molto simile al nero della carnica. Il punto mediano è un cuoio abbastanza scuro, ma con una varietà che va dall’uniformità del colore fino a striature o tigrature estremamente marcate e di una eleganza incredibile; per non dire di “punteggiature” di nei nel dorso del ventre, che si possono accompagnare o meno alle striature, e che, se fosse una signora, si potrebbe dire che la rendono estremamente vezzosa e seducente. L’aspetto un po’ goffo, pesante, lento sul favo, da “toro chianinio”, viene sostituito da una grande agilità e varietà di corporatura, fino all’estremo che ricorda l’esile lunghezza della “vespina centroitalica “ (così la chiamavano i vecchi), e che io ho appena fatto in tempo a vedere nelle Marche ed oggi scomparsa.
La varietà morfologica si accompagna ad una non meno incredibile varietà di comportamenti, che possono andare da uno quasi aggressivo fino ad una estrema docilità, da una totale tenuta del favo fino al suo opposto, da 9/10 favi di deposizione fino ad un massimo di cinque,
con posizione sul favo molto diversificata, da un estremo di scorte fino a morire di fame al primo imprevisto, da eccessive scorte di polline fino alla sua totale assenza e con forme di stoccaggio molto variegate, da una grandissima produttività in miele fino a se va bene pochi chili, da una ripresa primaverile rapidissima ed incauta fino ad una tardiva e troppo prudente, da un invernamento con così tanto miele che a marzo deve essere tolto per far posto alla covata fino al suo morire di fame a febbraio, da una ottima tenuta della covata da marzo fino a settembre inoltrato fino al suo accartocciarsi ai primi di luglio, da una produzione di pappa ben oltre i 10 gr a stecca fino a due/tre cupolini accettati, ecc. ecc. Con una tendenza ad un comportamento mediano fra gli estremi, ma sempre con grande vitalità, robustezza e rusticità. Se dovessi definire l’ape italiana dopo aver sperimentato quanto sopra, la definirei esattamente così: poliedrica, flessibile, vitale, robusta, rustica; e con una tale cura del nido che la più amorosa delle gatte gli fa un baffo.
Questa grande varietà di comportamenti e conseguente possibilità di scelta nel selezionare i caratteri probabilmente è la causa che ha reso l’ape italiana una delle sottospecie più adatte all’attività di impresa; e dobbiamo immaginare che le possibilità fossero ben più ampie alla fine dell’Ottocento/primi del Novecento, quando si iniziavano a sperimentare le varie sottospecie per l’apicoltura professionale. I motivi della riduzione della varietà comportamentale sono noti a tutti: la varroa in primis, ma anche una selezione spesso scriteriata e incurante del futuro dell’animale, ecc. Il risultato, nonostante la ricchezza ancora disponibile, è che la varietà è sottoposta a tagli successivi e progressivi, come un imbuto che progressivamente si restringe. Comunque questa simbiosi dell’ape italiana con l’impresa apistica, sicuramente è stata ed è una grande forza, ma è anche un grosso problema in un momento di trasformazione ambientale, climatica e di tecniche della produzione. Il problema consiste nell’adeguare, attraverso la selezione, le possibilità produttive dell’animale, per quello che l’animale può dare nella sua miniera comportamentale, alle mutate esigenze della produzione. D’altra parte selezionare vuol dire appunto scegliere, e questo si fa dove c’è la possibilità di scegliere: eliminare, inibire, favorire per uno scopo preciso, che cambia nel tempo in relazione al mutare delle esigenze della produzione. Dove questa possibilità non c’è, non è possibile selezione.
In passato l’Italia ha avuto grandi maestri selezionatori: non esistevano computer, centri di ricerca, istituti, associazioni, ecc. , eppure con la loro capacità di osservare prima e poi eliminare, inibire, favorire e modificare con la selezione pratica, sono stati protagonisti dell’apicoltura mondiale nella selezione e nell’innovazione delle tecniche di allevamento. A partire da poco dopo la metà dell’Ottocento Tortora, e poi Penna, Piana, ecc. nomi che tutto il mondo apistico mondiale conosce, e che hanno costruito, assieme agli altri, la preistoria e la storia dell’impresa apistica. Ma la caratteristica che forse li rende unici era l’essere anche grandissimi capitani d’impresa: producevano con numeri che spesso non riusciamo ad eguagliare, esportavano in tutto il mondo, e l’animale che hanno messo a punto, lavorando con la loro esperienza sulle possibilità che offre la ligustica, ha funzionato fino alla trasformazione radicale dell’agricoltura, del clima, delle tecniche apistiche, ecc., che è avvenuta negli ultimi due decenni del Novecento. Niente è perfetto, ogni pro ha i suoi contro, ma l’ape italiana funzionava forse meglio delle altre api................................................E’ difficile valutare in numeri esattamente la produzione oggi in Italia, ma noi la valutiamo in 300.000/350.000 api regine ligustiche per il commercio, con una bella fetta, forse oltre le 40.000, va all’estero: Francia, Spagna, Portogallo, Germania, Paesi scandinavi, Inghilterra, Paesi baltici, Grecia, Medio oriente, Africa mediterranea, Argentina, Cina, ecc. Alla produzione ed esportazione di api regine oggi si accompagna spesso quella di pacchi d’ape e nuclei su 3/5 telai.......
Regards
Alessandro